Verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali: si avvicina il termine per la prima ricognizione
L’Art. 30 del D. Lgs. 201/2022 (decreto di riordino), entrato in vigore il 31 Dicembre 2022 ha introdotto l’obbligo per i Comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti, per le Province, le Città Metropolitane e per gli Enti d’Ambito di effettuare una ricognizione periodica degli affidamenti di servizi pubblici locali a rilevanza economica. La norma prevede che nella ricognizione periodica si dia conto dell’andamento economico del servizio affidato, della qualità e del rispetto degli obblighi di servizio imposti.
La ricognizione rileva inoltre la misura del ricorso all’in house providing e, i ntal caso, costituisce appendice della revisione periodica delle partecipazioni societarie prevista dall’Art. 20 del TUSPP.
Il comma 3 dell’Art. 30 prevede che in sede di prima applicazione la ricognizione deve essere effettuata entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto e pertanto entro il 31 Dicembre 2023.
E’ pertanto ormai alle porte la scadenza del termine normativo che costituisce un’occasione importante per gli Enti competenti per adeguare i propri affidamenti ai dettami del decreto di riordino, con particolare riferimento allo sviluppo del Piano economico e finanziario pluriennale che il decreto pone come elemento cardine per la verifica della sostenibilità del servizio nonché per la verifica di coerenza fra gli obblighi di servizio e la remunerazione del gestore.
Inoltre, il collegamento normativo fra la ricognizione sui servizi e la revisione delle partecipazioni di cui al TUSPP mette a sistema e in relazione le “due facce” del rapporto Enti-società, con la necessaria coerenza fra le condizioni di sostenibilità economica dell’affidamento e di sostenibilità della società.
Paragon sta affiancando diversi Enti d’ambito nel percorso di adeguamento dei propri servizi al decreto di riordino, nonché alla nuova regolazione delle Autorità di regolazione e mette a disposizione le competenze e le professionalità dei suoi professionisti per la ricognizione richiesta dal decreto. Contattaci per maggiori informazioni
L'Antitrust ricorre al TAR: l'operazione ASECO non rientrerebbe nelle competenze dell'Ente Regionale
Nel panorama delle controversie legate alla gestione dei rifiuti urbani, si apre un nuovo capitolo con l'Antitrust che decide di agire contro la nascita della società pubblica ASECO (società controllata dal gestore del ciclo idrico AQP, per la quale si prevedeva un ingresso nel capitale da parte di AGER, l'Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti), un'iniziativa promossa dalla Regione Puglia sotto la guida di Michele Emiliano con l'obiettivo di creare e gestire gli impianti pubblici di trattamento dei rifiuti. Questo passo è stato oggetto di attenzione e dibattito fin dal suo annuncio, e ora l'Antitrust interviene con un ricorso al TAR della Puglia per tutelare il principio di concorrenza.
L'operazione, sfruttando il meccanismo dell’in-house providing, prevedeva che AGER e AQP affidassero ad ASECO il mandato per la realizzazione degli impianti e le successive attività di gestione dei rifiuti organici da raccolta differenziata e dei fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue. Tuttavia, l'approccio è stato già bocciato dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) lo scorso marzo, in risposta alle richieste degli operatori privati, che avevano sottolineato come l'affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti organici differenziati non rientrasse nelle competenze dell'ente regionale e dell'Ambito Territoriale Unico AGER.
Le osservazioni dell' Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
L'AGCM ha chiarito che né AGER né la Regione Puglia sono titolari di funzioni e compiti di gestione diretta o indiretta degli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Di conseguenza, affidare questi servizi ad una propria società "in house" rappresenta una violazione della concorrenza.
Le Regioni, ai sensi dell’art. 196 del TUA, nel settore dei rifiuti hanno funzioni di pianificazione, organizzazione e controllo dell’attività (tra cui la predisposizione dei piani regionali di gestione dei rifiuti, la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali – ATO - per la gestione dei rifiuti urbani, la promozione della “gestione integrata” dei rifiuti, nonché l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti e al recupero degli stessi) ma non competenze di gestione dei rifiuti che sono attribuite ai Comuni (art. 198), organizzati sulla base di ATO delimitati dal piano regionale dei rifiuti nel rispetto dei criteri di superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti, il conseguimento di adeguate dimensioni gestionali e la ricognizione di impianti di gestione di rifiuti già realizzati e funzionanti (art. 200, co. 1).
L'Antitrust ha osservato che l'intera operazione ASECO presenta una situazione di pericolo che potrebbe distorcere le dinamiche del mercato dei rifiuti nella regione. Secondo l'AGCM, il controllo esercitato dalla Regione Puglia su ASECO attraverso AQP rende ancora più illegittima questa operazione. L'Antitrust sottolinea che la società ASECO sta perseguendo attività di produzione di beni e servizi che non sono necessari né compatibili con le finalità istituzionali di AGER e della Regione. Regione Puglia, che controlla new ASECO, non rappresenta l’ente competente ad affidare il servizio di trattamento dei rifiuti e, dunque, non potrebbe costituire o partecipare in una società in house providing finalizzata alla realizzazione e gestione di impianti di trattamento della FORSU, cui sia anche affidato il servizio di trattamento dei flussi regionali. Per tale ragione, l'Autorità ha ritenuto che l’operazione non rispetti il requisito di stretta indispensabilità per i fini dell’ente, richiesto dall’art. 4, TUSP.
In ultimo, sempre l'Autorità evidenza che quanto messo in atto dalla Regione Puglia e da AGER prescinde dalla disciplina sugli impianti minimi (delibera ARERA n. 363/2021) che il regolatore ha immaginato per contesti geografici di scarsità impiantistica al fine di incoraggiare la realizzazione, da parte di privati o di soggetti pubblici, di nuovi impianti di trattamento.
Rilevazioni simili erano già state evidenziate dalla sezione regionale della Corte dei Conti. Tuttavia, nonostante le chiare criticità sollevate dall'AGCM e dalla Corte dei Conti, Regione ed ente d'ambito non hanno risposto al parere motivato entro il termine di sessanta giorni. Di conseguenza, l'Antitrust ha deciso di intraprendere azioni legali e ha presentato un ricorso al tribunale amministrativo regionale.
Adesso spetta ai giudici del tribunale regionale valutare il caso e prendere una decisione in questa complessa disputa che sta contribuendo a ridefinire il perimetro dei servizi di gestione dei rifiuti urbani e il bilanciamento tra l'intervento pubblico e la libera concorrenza sul mercato.
Illegittimo l'affidamento in house a una società interamente partecipata dall'Egato: AGCM ricorre al TAR per il servizio rifiuti dell'Ato di Benevento
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha preso in esame le deliberazioni dell'Ente d'Ambito per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani dell'Ambito Territoriale Ottimale di Benevento, datate 2 maggio 2023. In queste deliberazioni, l'Ente ha espresso la sua intenzione di costituire una società interamente partecipata, con l'obiettivo di affidarle in-house il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Tuttavia, l'AGCM ha rilevato una serie di criticità e violazioni della normativa in queste decisioni, mettendo in discussione la legittimità e la conformità di tale operazione.
Partecipazione dell'Ente al Capitale Sociale
L'AGCM ha osservato che l'Ente d'Ambito di Benevento ha violato gli articoli 6, comma 2, e 33, comma 2, del decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201, che disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica. Questi articoli vietano agli enti di governo dell'ambito di partecipare direttamente o indirettamente ai soggetti incaricati della gestione dei servizi pubblici locali a rete. L'AGCM ha sottolineato che tale partecipazione potrebbe compromettere il principio di separazione tra funzioni di regolazione e gestione dei servizi pubblici locali a rete, in quanto l'ente parteciperebbe direttamente al capitale di un soggetto che gestisce il servizio.
Carenza di Controllo Analogico
L'AGCM ha anche evidenziato una mancanza di controllo analogo nella costituzione della società in-house. Nonostante l'obbligo di controllo analogo fosse presente, l'AGCM ha rilevato che il meccanismo di controllo era poco chiaro e non adeguato. L'ente non ha fornito informazioni dettagliate sul modo in cui i rappresentanti dei Comuni avrebbero effettivamente esercitato il controllo sulla società, compromettendo la validità del requisito di controllo analogo previsto dalla legge.
Mancata Motivazione Adeguata
L'AGCM ha criticato la mancanza di una motivazione adeguata nelle deliberazioni dell'Ente di Benevento. Secondo la normativa, le decisioni di costituire una società in-house devono essere motivate in modo analitico, includendo elementi come la necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali, le ragioni della scelta, la convenienza economica, la compatibilità con i principi di efficienza ed efficacia, e altro ancora. L'AGCM ha rilevato una carenza di informazioni e dati concreti che giustificassero la scelta di non ricorrere al mercato e di costituire una società in-house.
In conclusione, l'AGCM ha dichiarato che le deliberazioni dell'Ente di Benevento sono illegittime a causa delle violazioni dei principi concorrenziali e delle normative vigenti. L'AGCM ha evidenziato come queste violazioni abbiano un impatto anticoncorrenziale, limitando la possibilità di operatori efficienti di partecipare a procedure competitive per l'ingresso nel mercato. La normativa vigente mira a promuovere la concorrenza e la tutela dell'efficienza nei servizi pubblici locali di rilevanza economica, e le deliberazioni dell'Ente sembrano contrastare questi obiettivi. Pertanto, l’Autorità ha deliberato, nella riunione del 18 luglio 2023, di proporre ricorso al TAR Campania contro le Determinazioni assunte da ATO Benevento.
Quanto osservato dall'Autorità, sottolinea l'importanza della costruzione di un'adeguata e solida motivazione circa la forma di affidamento scelta, costruendo uno studio economico in merito alle ragioni del mancato ricorso al mercato e sulla verifica della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nelle decisioni relative ai servizi pubblici locali, al fine di garantire come richiesto dall'Autorità un ambiente di concorrenza equo e favorevole a operatori efficienti e competitivi.
L'importanza della remunerazione dei costi di capitale negli affidamenti In House Providing
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha recentemente posto l'attenzione sull'impatto dei costi di capitale nella valutazione di convenienza degli affidamenti In House Providing. Nell'ultimo Bollettino n. 28/2023, l'AGCM ha analizzato le operazioni di acquisto di partecipazioni da parte di enti d'ambito in società a capitale pubblico (ATO Napoli 1, acquisizione della partecipazione sociale della SAPNA Spa), con l'obiettivo di affidare in house il servizio di igiene ambientale. In questo contesto, l'Antitrust ha affrontato le motivazioni a sostegno di tale scelta, concentrandosi sulla remunerazione dei costi di capitale.
L'AGCM ha sottolineato come l'equilibrio delle prestazioni corrispettive debba considerare tutti i costi, compresi quelli del capitale, indipendentemente dalla forma di affidamento. Spesso, nell'affidamento in house providing, si sostiene la convenienza dell'assenza dell'obbligo di garantire una certa marginalità economica per remunerare gli investitori. Tuttavia, l'AGCM ha ritenuto questa argomentazione fallace sotto diversi aspetti.
In primo luogo, l'ente affidante è tenuto a garantire l'equilibrio economico-finanziario del contratto di servizio pubblico, il che richiede la copertura di tutti i costi, inclusi quelli di capitale. La mancata remunerazione dei costi di capitale avrebbe conseguenze significative, anche a carico della collettività. Ad esempio, l'impresa non potrebbe reperire finanziamenti sul mercato dei capitali per realizzare gli investimenti e sarebbe completamente dipendente da risorse pubbliche a fondo perduto.
In secondo luogo, la scelta di non remunerare il capitale potrebbe non costituire un vantaggio intrinseco dell'In House Providing, ma piuttosto una decisione escludente e discriminatoria rispetto ad altre modalità di affidamento. Eventuali operatori privati non potrebbero permettersi di non remunerare il capitale, rendendo così la concorrenza meno equa.
Il contesto normativo riguardante i rapporti con le società partecipate e gli affidamenti di servizi pubblici locali richiede una valutazione periodica di sostenibilità e convenienza dei modelli gestionali adottati per soddisfare i bisogni della collettività amministrata. La remunerazione dei costi di capitale è un tema centrale per garantire non solo un'adeguata offerta di servizi ma anche lo sviluppo parallelo delle infrastrutture e delle dotazioni patrimoniali necessarie per erogarli.
Nel percorso di scelta del soggetto affidatario nell'In House Providing, si apre un'ampia riflessione sul piano degli investimento, la sua quantificazione e formulazione, e sulla definizione della leva finanziaria e del relativo tasso di remunerazione. Sul tema Paragon Advisory negli anni ha sviluppato numerosi servizi di analisi, studio e valutazione di piani industriali e PEF per affidamento di servizi pubblici supportando gli Enti nella definizione del congruo tasso da utilizzare per la definizione delle remunerazione del capitale investito e sviluppando a servizio degli Enti e delle Società analisi di congruità dei servizi.
Società in House e Impatto Fiscale delle Prestazioni di Servizi a Fini IVA
Le società in house, incaricate di eseguire specifici interventi, sono soggette a prestazioni di servizi ai fini IVA, anche quando l'interesse pubblico prevale. L'Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 376_2023, affronta il tema della qualificazione fiscale dei pagamenti erogati a una società in house, partecipata da vari enti pubblici, per l'esecuzione di interventi specifici.
Secondo l'Agenzia, le società in house sono entità legalmente autonome rispetto agli enti di appartenenza e non possono essere considerate organismi di diritto pubblico ai fini fiscali. Di conseguenza, l'articolo 4, comma 4, del decreto IVA non si applica a tali società. Le operazioni effettuate dalle società in house, che sono costituite come società di capitali, vengono sempre considerate come attività imprenditoriali ai sensi dell'articolo 4, comma 2, n. 1) del decreto IVA, indipendentemente dal fatto che siano riconducibili alle funzioni istituzionali dell'ente pubblico di provenienza o di appartenenza. Questa qualificazione come attività imprenditoriale è basata sulla giurisprudenza della Corte di giustizia.
L'Agenzia sottolinea che una prestazione di servizi è "a titolo oneroso" quando c'è uno scambio di prestazioni sinallagmatiche tra il prestatore e il beneficiario, indipendentemente dalla presenza o meno di un corrispettivo. Nel caso delle società in house, l'Agenzia ha identificato il sinallagma nel trasferimento totale o parziale della proprietà dei risultati della ricerca o dell'opera finanziata all'ente erogante. Inoltre, la presenza di clausole risolutive espresse nella convenzione o nel contratto e di penalità per inadempimento, insieme alla responsabilità contrattuale della società in house nei confronti dei terzi, contribuiscono a caratterizzare la prestazione come "a titolo oneroso".
Queste considerazioni dell'Agenzia delle Entrate hanno importanti implicazioni fiscali per le società in house e per gli enti pubblici che le coinvolgono. Essi devono valutare attentamente la qualificazione fiscale delle transazioni effettuate e assicurarsi di adempiere agli obblighi fiscali previsti per queste prestazioni di servizi.